DEL PAESAGGIO
STORIA E DECADENZA DEL PAESAGGIO URBANO SALENTINO
di Ezio Sanapo
“L’anima” del paesaggio urbano Salentino è Mediterranea, essa è la somma di due Civiltà millenarie giunte fino a noi con due storie diverse ma parallele: una è la Civiltà Classica delle Chiese e dei palazzi l’altra è la Civiltà Contadina dei ceti meno abbienti, con le loro case bianche, senza colori né decori ma, con la propria identità architettonica e una sua storia da raccontare perché la storia di un paese, occorre conoscerla per intero e questo è possibile, se viene conservato, tutelato e tramandato per intero, è il suo insieme che può rappresentare oggi ciò che resta a testimonianza della nostra provenienza storica.
Lo stile architettonico delle abitazioni era determinato da regole legate al proprio ceto di appartenenza: lo stile classico per i ceti aristocratici e benestanti, uno stile più sobrio ma con accenni al classico e al colore per i ceti medi (commercianti, impiegati ,artigiani), lo stile architettonico del ceto popolare è frutto della cultura contadina, esso circonda i centri urbani, si estende su tutte le periferie e sconfina nelle campagne, Bianco e il colore che lo identificava fino a che la Società nel suo insieme non si è frantumata in tanti singoli individui, ammucchiando i ceti in un tutt’uno.
Era l’inizio degli anni ’60, in pieno boom economico, l’avvento della “società dei consumi” e la caduta di tutte le regole ha determinato l’inizio della decadenza del paesaggio urbano salentino.
Le Istituzioni, tramite la sovraintendenza alle Belle Arti, si sono preoccupate di tutelare soltanto la Civiltà Classica cioè Chiese e Palazzi ma non i centri urbani dei ceti medi e contadini, che ci avrebbero permesso oggi di capire meglio il loro tenore di vita, le loro esigenze e sofferenze ma anche i loro valori, tradizioni, le architetture delle loro umili dimore con tutte le loro anonime storie mai raccontate. Oggi balliamo al ritmo di quel patrimonio coreutico e musicale che abbiamo ereditato, senza più memoria, sulle rovine di quelle Civiltà.
Durante tutto lo scorso millennio, il paesaggio salentino ha subìto occupazioni di ogni razza e cultura, che hanno lasciato, stratificate sul nostro paesaggio, preziose impronte architettoniche che si sono sommate a quelle delle Civiltà contadina e Classica preesistenti: Bizantini, Normanni, Angioini, Turchi, Aragonesi e infine i Borboni. Questi ci hanno arricchito di testimonianze storiche che hanno fatto diventare i centri urbani, “ Beni Architettonici e Culturali “ da tutelare.
Già nella metà dell’ottocento partivano da Lecce direttive e regole scritte per tutti i comuni di Terra d’Otranto e Leuca. Lo storico architetto Luigi Arditi, agli inizi del 900,controllava di persona che le commissioni edilizie comunali, nel dare licenze di edificabilità, tenessero conto dei stili, dei materiali e dei colori da utilizzare.
La prima legge di tutela territoriale e paesaggistica nazionale, risale al 1922 e reca la firma del filosofo Benedetto Croce, ministro del governo Giolitti. A quella legge si ispirò, nel 1939, il ministro fascista Giuseppe Bottai, che aggiunse anche la tutela delle coste, con il divieto di edificare entro i 300 metri dai mari laghi e fiumi, dichiarati “Bellezze naturali” vincolate. (La stessa legge è stata riconfermata nel 1985 dal ministro Giuseppe Galasso con l’obbligo per le regioni di redigere “Piani territoriali di tutela”).
Approfittando della ricostruzione e della necessità urgente di nuovi insediamenti urbani, nell’immediato secondo dopoguerra, quei vincoli purtroppo si allentarono, e insediamenti e abusi edilizi sconfinarono numerosi sulle coste salentine.
Iniziò così, un lungo periodo di involuzione del nostro paesaggio, sfociato con la confusione di ruoli e compiti tra lo Stato, le Regioni, le Provincie e i comuni quando, nel 1972 queste furono istituite. Lo Stato assegnò alle Regioni la gestione del Territorio, ai Comuni il Paesaggio urbano.
Per la tutela del paesaggio urbano, la Regione assegnò ad ogni comune un “Regolamento Edilizio Comunale”, fotocopia di quello già in vigore, in terra d’Otranto e Leuca dalla metà dell’ 800, ma questo fu completamente ignorato proprio a partire dagli anni ’60 per ciò che riguarda la tutela architettonica, coloristica e dei materiali, ne è la prova l’eccessivo ricorso alle pensiline e ai colori esagerati delle facciate delle singole abitazioni ad eccezione di pochissimi comuni più virtuosi, il comune di Specchia soprattutto.
Negli anni ‘60, nel campo dell’edilizia, nuovi e molteplici materiali industriali di natura chimica provenienti dal nord, proprio per la mancanza di Regole e Tutela sono stati scaricati sui nostri centri urbani nonostante fossero incompatibili con il nostro clima, ne risulterà che quei colori esagerati e la muffa che ne è conseguita da quei prodotti, hanno fatto scomparire ormai quasi del tutto, il Bianco, cioè il colore della nostra mediterraneità e della nostra innocenza.
Tutto ciò sfugge all’attenzione ormai assuefatta e complice dei residenti indigeni del Salento ma non sfugge all’attenzione incredula dei turisti che vengono a visitare il Paesaggio salentino e che non ritorneranno più (molti di questi) delusi dal “disordine” sparso quasi ormai dappertutto nei centri urbani ma anche sul territorio limitrofo. Le periferie che da ogni latitudine fungono da ingresso nei paesi, invece di esserne “il biglietto da visita”, ne annunciano lo stato di abbandono.
I Sindaci, da un po di tempo hanno avvertito il bisogno di impedire tutto ciò, (anche per il tornaconto economico che ne verrebbe a tutti dalla presenza turistica), ma i “Piani del Colore” che progettano, non possono risolvere un problema che è soprattutto “architettonico”: modificare i colori è facile, ripristinare i scempi architettonici è invece più difficile, come ancor più difficile è superare l’ostacolo rappresentato dalla scarsa “educazione civica” dei cittadini e dalla scarsa abitudine che hanno le diverse organizzazioni politiche e culturali presenti sul territorio a impegnarsi unitariamente per il superamento di problemi comuni e gravi come questo.
Guardato da una certa distanza il panorama di un centro urbano, ti da subito l’idea di un insieme di case (e di persone) e puoi capire se esse siano in sintonia o no tra loro. Quando poi entri e osservi da vicino, avverti dalle scritte spray e da ogni altro tipo di scarabocchi sparsi dappertutto, la presenza di un disordine sociale e di un individualismo esasperato, portatore di una solitudine non più sostenibile.
Il Salento, oltre tremila anni fa, era una colonia greca, dai greci abbiamo appreso e praticato molti dei loro valori tra cui la solidarietà e l’accoglienza. A quel tempo usavano spesso al calare della sera, accendere una lampada fuori sulla porta di casa per segnalare la propria presenza ai passanti che ne avessero avuto bisogno. Potrei supporre che avendo smarrito quei valori, oggi, invece della lampada si fa uso di colori troppo accesi come il Giallo, Arancio e Rosso sulla facciata della propria abitazione, non per segnalarne a qualcuno la presenza ma a se stessi la propria esistenza.
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