nel Tartaro
del sapere
di Francesco Pasca
Nel leggere e nell’interpretare il quotidiano dell’uomo vi sono cose semplici che diventano complesse, quest’ultime a volte assumono caratteri improvvisamente più disponibili e prendono corpo in un apparente inconscio, si delineano “In” e “Per” una “reale” semplicità.
Ma di quest’ultime ve ne sono altre che si dispongono a precipitare come l’ incudine nel Tartaro e mai ne raggiungo il fondo, la soluzione.
Oggi nel descrivere e nel darmi conto rileggo il filo dell’oltre, il moto conduttore dell’ultima opera scritta da Vincenzo Ampolo per Kurumuny Editore con introduzione di Leonardo Montecchi, e, quell’Oltre, non mi fa raggiunge mai il fondo, azzardo la conclusione che il Tartato della mente umana, sebbene si concretizzi, da sempre, con Riti, Miti, Sostanze e Terapie nell’uso quotidiano di una Coscienza Ordinaria, così è definita da Ampolo, risucchia irrimediabilmente l’orizzonte di qualsiasi evento.
Gli accessi al sapere divengono infinti. Ampolo da scaltro conoscitore dell’umane sofferenze e ragioni, per far precipitare, sceglie l’accesso a lui più congeniale.
Da psicologo e terapeuta sa che il sapere si ottiene attraverso la medicina per la mente, sa quanto può scaturire dalla stessa e, quindi, abilmente, conduce al primitivo che ci appartiene. In tanto primitivo leggo e resto aggrappato all’incudine che viaggia nella conoscenza del nuovo Tartaro e faccio mia, distraendo non poco le aspettative di R. D. Laing, la citazione di terza pagina che utilizza Vincenzo per introdurre le aspettative di chi legge: “Il nostro stato “normale” e “ ben adattato” non è, molto spesso, che una rinuncia all’estasi, un tradimento delle nostre più vere potenzialità; e molti di noi riescono fin troppo bene a costruirsi un falso io, per adattarsi a false realtà.” (da L’io diviso).
Lo psichiatra e filosofo scozzese attua il suo risucchio e Ampolo sa che me ne discosto da quel virgolettato in cui Normale, Reale e adattato non corrisponde alle mie, di aspettative.
Non vorrò mai essere il paziente che può provare paura nell'essere visto dagli altri, o trovarmi nell’incertezza del dover o voler praticare l'attenzione per qualcuno. Ampolo sa della mia consapevolezza al rischio dell’essere risucchiato e a non volermi concedere esclusivamente all'identità provvisoria di un’estasi.
Su questo terreno sì è maturata per una brevità di tempo l’implosione ed è stato l’appiglio ad una nostra differente realtà aggressiva, dove corporeo ed incorporeo sono andate a correre, stranamente, sullo stesso binario. Vi sono libri che sono destinati all’immobilità da scaffale, altri che gironzolano e mostrano la loro scrittura, altri ancora che non subiranno mai il trapasso d’identità tra chi li scrive a chi li legge. Il Testo di Ampolo mi ha convinto della necessità di attuare il mio precipitare; la lettura è divenuta ricorsiva, indispensabile per comprendere da “laico” l’esatta differenza tra magica persuasione e magica creazione.
Le Funzioni sociali e rituali negli opposti, nel suo saggio, sono descritti con l’identico mito di Urano e Cronos, sono di un Vecchio Tempo predisposto ad essere evirato e quel pene di tempo destinato nel nostro mare. I noi, i suoi figli non attendono di essere fagocitati. L’avvertenza di ciò è descritta nelle prime pagine del suo saggio: “Abbiamo bevuto il Soma, siamo diventati immortali, siamo giunti alla luce, abbiamo trovato gli dei” (RigVeda, libro VII, inno 48) pag. 20 con l’introduzione al cammino. Ma da operatore estetico, necessità è stata il soffermami sul capitolo terzo: transiti creativi della coscienza.
È in questo transito che ora scrivo? A pag. 44 lo trovo in lettura con: “l’altrove dell’artista”. Ampolo da terapeuta e saggista suppone transiti obbligati. Ampolo sa che dissento. So che il mio dissenso non è la verità ma una diversa e solo parziale conoscenza, una mia differente “mania” intrapresa, non così come quella da lui estrapolata da Platone con :«Questo “furore”, quest’entusiasmo che rende folli o eletti … en-theos=in-deato, posseduto(Katechomenos) dal dio …» Il capitolo lo accetto come passo obbligato per la comprensione della lettura del saggio dove la “mania” misterica diventa, per il curatore di uno stato di coscienza ordinaria, la necessità di un “naufragio” (pag.57) che, ha più approdi, (pag.59). Tutto è ben documentato con note e riferimenti bibliografici. Il testo di Ampolo, sebbene fortemente scientifico, permette divagazioni. Nella prima parte un po’ più della terza, in quest’ultima avviene la partecipazione diretta, è la scelta nella sperimentazione.
Qui l’aspetto scientifico si comporta come corpo unico, solidamente ancorato alle risposte di un farmaco e non allo Stato chiamato “Ordinario di Coscienza”(pag.72) Qui prende corpo la metafora del “bambino difficile”, del “farmaco specifico per l’inconscio”. Qui perdo la mia consapevolezza e sono tentato di scegliere se abbandonare il mio incudine o lasciarmi ancor più precipitare. Ma proseguo con il capitolo settimo, con il metodo Perseo(pag.81), della mediazione corporea, delle terapie collettive, della scoperta dei vecchi percorsi, del già vissuto. Con il già vissuto Ampolo penetra nel Labirinto più intricato, abbandona la terapia e ritorna al dialogo con l’esterno, con chi legge. A pag. 87 sono, siamo sulla soglia, nel luogo dell’incubazione (nel poiesis) di quanto ci aspettiamo che avvenga; nel contempo ho la facoltà di sostare tra sonno e veglia o chiudere alle mie spalle l’uscio e intraprendere lo spazio nuovo, quel Tempo già evirato.
Il mare dove si è inabissato l’organo di Urano è la Fiaba e il Mito. (per il Mito, dal seme di quell’organo nascerà Venere e perché non indicare anche le tante principesse di un c’era una volta) L’organo di Urano porterà con sé il seme, l’antica sapienza dei popoli. Per Ampolo il compito è saper gestire quell’antica sapienza. La Transe servirà ad entrare nel regno dell’immaginazione (parte quarta). Ampolo dà il meglio di sé, ha smania di ritorno, pensa alla fucina di idee degli anni Sessanta. Ampolo si aggrappa al suo incudine, alla psicologia della rivolta, alla necessità degli incontri, al popolo già sconfitto e tuttora intravede l’urlo di Ginsberg. Ampolo anela alla poesia del risveglio, passa dal silenzio all’ascolto e a pag. 125 approda nel regno dell’immaginazione, del genius loci, del pensiero classico:”l’armonia si origina dai contrari, poiché essa è fusione del molteplice e concordia del discorde”(Filao, DK 32B 10) L’Agorà è ora il luogo del tempo perduto.
Ampolo in questo luogo circolare ed infinito chiude il suo saggio con la condizione di “viaggiatore errante” ringraziando l’amico George. Nell’Agorà Lapassade lo spronerà a riflettere con: “non so come spiegare il motivo per cui partii da Arbus … perché giro il mondo da vent’anni alla ricerca del luogo ideale … vorrei scrivere il mio ritorno … e spiegare perché rivolgo il mio interesse verso altre culture rinnegando la mia …”
L’incudine continua a scivolare, anch’io ringrazio Vincenzo di essere qui aggrappato all’incudine, Oltre la Coscienza Ordinaria …
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